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Milano, 23 giugno 2017 - 10:59

Leggere e non capire

Si chiamano “analfabeti funzionali” se la cavano con la lista della spesa ma non con un bollettino postale, cercano trucchi per nascondere la propria condizione. La colpa? Della scuola. E della pigrizia

di Annamaria Testa e Giuseppe Antonelli

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Cosa c’è scritto? (di Annamaria Testa)

Confrontate queste due frasi: 1. Il gatto miagola. 2. Il gatto miagola perché vorrebbe il latte. Tra i due gatti, e le due frasi, c’è un confine. Separa le persone capaci di leggere e di capire una frase come la numero 2 e le persone che oltre la numero 1 non vanno. Sono gli analfabeti funzionali: quelli che possono decifrare un’insegna, un cartello stradale o un prezzo, ma non un bollettino postale, un grafico, un articolo come questo. Si tratta del 27,9 per cento degli italiani tra i 16 e i 65 anni. Cioè di quasi uno su tre, secondo i dati Ocse-Piaac del 2016. Sono circa 11 milioni di individui. Sono persone come noi: hanno un lavoro, un telefonino, una famiglia, un’automobile. Vanno in vacanza, fanno la spesa e parlano di politica con gli amici, ma possono informarsi solo per sentito dire. Sono ingegnose e mettono in atto complesse strategie per nascondere o compensare la propria condizione di analfabetismo funzionale. Magari, chiedono aiuto per leggere un modulo dicendo che hanno dimenticato gli occhiali. Intendiamoci: leggere (e soprattutto capire quel che si legge) è una prestazione tutt’altro che banale. In un bellissimo libro, intitolato Capire le parole, il linguista Tullio De Mauro dice che la parola scritta mette in gioco l’intera capacità di intelligenza e di vita di cui siamo dotati.
Quando leggiamo, il nostro cervello compie un lavoro complicatissimo, e lo fa in infinitesimi di secondo. Noi percepiamo e selezioniamo una catena di stimoli visivi (la forma delle lettere che compongono le parole sul foglio o sullo schermo) e li “fotografiamo” a gruppi con lo sguardo. Il nostro cervello li riconosce al volo, li decodifica (cioè risale al significato delle parole), li interpreta (cioè ricostruisce il senso che le parole hanno, messe assieme), li elabora (cioè connette ogni nuova frase con quelle che l’hanno preceduta) e si costruisce una rappresentazione dei contenuti del testo, mettendo in gioco tutte le sue capacità logiche, le sue memorie e le sue conoscenze. Fa tutto questo ininterrottamente e con fluidità, ma solo se è allenato. Altrimenti leggere è una fatica infernale. Per chi legge con facilità e con piacere, l’esempio dei gatti è sconcertante. Ma dobbiamo prenderlo sul serio: è tratto dal libro La cultura degli italiani, in cui Tullio De Mauro dice con forza quanto è pervasivo l’analfabetismo funzionale nel nostro Paese.

I dati Ocse-Piaac del 2016 ci dicono che il fenomeno non riguarda solo i più anziani, che sono andati poco a scuola e fanno mestieri non qualificati, ma anche un 9,6 per cento di ragazzi tra i 16 e i 24 anni che in gran parte non studiano e non lavorano, e un 15 per cento di giovani tra i 25 e i 34 anni. Si tratta di quasi due milioni e mezzo di persone. Il fenomeno riguarda anche un drammatico 20,9 per cento dei diplomati (uno su cinque!), e un incredibile 4,1 per cento di laureati. Ma come può succedere tutto questo? I motivi sono diversi. Il primo è che analfabeti funzionali si diventa. Lo conferma il pedagogista Benedetto Vertecchi: chi non esercita le competenze che ha imparato a scuola, nel tempo le perde. Disimpara a leggere e a scrivere chi non affronta mai testi più lunghi e complessi della lista della spesa. Disimpara a far di conto chi si affida solo alla calcolatrice del telefonino. Nel corso del 2016, secondo gli ultimi dati Aie, il 60 per cento degli italiani (laureati compresi) non ha aperto un libro di qualsiasi tipo: neanche un ricettario di cucina, una guida turistica, un manuale o un ebook. Il guaio è che, rinunciando a leggere, a scrivere e a far di conto, si disimpara anche a risolvere problemi e a pensare. E si torna indietro di almeno cinque anni di istruzione. In altre parole: anche chi ha fatto le scuole superiori può ritrovarsi con capacità di lettura, scrittura e calcolo da scuola media. E chi ha fatto le superiori proprio male, o le ha interrotte, precipita giù, giù fino alle elementari (continua nella card seguente)

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