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Milano, 11 gennaio 2016 - 08:32

Roma e le Olimpiadi del 1960
Così nacque Fiumicino, in ritardo

L’aeroporto aprì cinque giorni prima della cerimonia di apertura ma solo per i charter

di Valeria Costantini

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La storia dell’aeroporto di Fiumicino è una ruota che gira: oggi, come 55 anni fa, due eventi mondiali — Giubileo e Olimpiadi — segnano il suo percorso. Simbolo della nuova industrializzazione, del boom economico, lo scalo intitolato all’uomo che voleva vedere l’uomo volare — Leonardo Da Vinci — fu costruito per accogliere il mondo intero nella Capitale in occasione dei Giochi Olimpici del 1960.

Il taglio del nastro «tardivo»

Peccato che, come nella più classiche vicende all’italiana, non andrà proprio così. Il primo taglio del nastro, il 20 agosto di quell’anno, ci fu cinque giorni prima della cerimonia di apertura delle Olimpiadi, troppo tardi per ricevere qualunque delegazione straniera. Oltretutto quella fu una sorta di «pre-inaugurazione», avvenuta con in prima linea Giulio Andreotti (all’epoca ministro della Difesa e anche presidente del comitato organizzatore dei Giochi). Perché, quel giorno, dello scalo c’era ben poco: la struttura non era ancora pronta e verrà utilizzata solo per alleggerire il traffico aereo su Ciampino, facendo atterrare qualche volo charter.

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Olimpiadi di Roma 1960: dalle gare ai balli nel villaggio

Il primo volo di linea

La vera inaugurazione operativa avverrà sei mesi dopo, alla mezzanotte tra il 14 e 15 gennaio 1961, ad Olimpiadi già terminate: il realtà fu la terza, dopo quella (appunto) dell’agosto ‘60 e quella che si svolse nel giugno ‘56, una sorta di cerimonia strategica per la candidatura della Capitale alle Olimpiadi. Nel ‘61, allora, il primo volo di linea che finalmente atterrò su una delle due piste fu un «Lockheed Constellation» della Twa, partito da New York e fermatosi a Tunisi per scalo tecnico. La realizzazione dell’infrastruttura fu una vera corsa ad ostacoli: difficoltà legate ai paludosi terreni dei Torlonia, ritardi abissali nei lavori, pesanti dubbi di irregolarità, piste che affondavano. E, dulcis in fundo, il costo lievitato dai 15 miliardi di vecchie lire a oltre 80.

La Commissione d’inchiesta parlamentare

Fu uno scandalo, oggetto anche di una Commissione d’inchiesta parlamentare — chiusa poi senza risultati — sull’operato dello stesso Andreotti e del ministro dell’aeronautica Mario Cingolani, che già dal 1947 (secondo governo Dc De Gasperi) ebbe il compito di costruire quell’aeroporto. Nonostante tutto, però, quel «paradiso dei cieli» veniva visto come il simbolo della nuova Italia: aeroporto e Olimpiadi erano la «consacrazione del ruolo che l’Italia repubblicana aveva raggiunto nel contesto internazionale», disse Andreotti tagliando il nastro. Un giorno vissuto «come il compimento di un quindicennio esaltante fatto di sacrifici, rinunce, lavoro e creatività di un’Italia distrutta dalla guerra, che si stava trasformando da paese agricolo in un paese industrializzato, protagonista della costruzione di un’Europa fondata sulla pace e sullo sviluppo». Creare un grande aeroporto alle porte di Roma era del resto un obiettivo che lo Stato si poneva da 20 anni, anzi lo voleva pronto già per il Giubileo del ‘50. Appuntamento «bucato», anche quello. L’imponente terminal 3 — la facciata cemento-vetro è vincolata dalla Sovrintendenza — fu il primo pezzo di Fiumicino a ergersi nei cieli: l’aeroporto nacque dalla sintesi di due progetti architettonici, quelli di Riccardo Morandi e Andrea Zavitteri (vincitori del concorso) e di Amedeo Luccichenti e Vincenzo Monaco, da cui si presero alcune idee.

Il «salotto volante della Dolce Vita»

Così nacque il «salotto volante della Dolce Vita», come veniva chiamato lo scalo. Volare costava e, più che un viaggio, si trattava di un evento sociale. Lo spiega Elio Vergati, storico fotoreporter di Fiumicino che nel ‘61 aveva appena 22 anni: «Viaggiare in aereo era un lusso per pochi intimi. Ci si vestiva eleganti come a un ballo». Lo scalo, all’epoca, «era allo stato embrionale, su un solo piano, una passerella per politici e vip», dice Elio, che ha visto passare la storia davanti al suo obiettivo. Era a Fiumicino, dito sul pulsante, anche a testimoniare i due tragici attentati dei terroristi palestinesi: quello del ‘73, ad opera del gruppo «Settembre nero» (32 morti, 6 italiani) e quello del 1985 del gruppo che faceva capo ad Abu Nidal (13 morti, inclusi i terroristi). Scatti che gli valgono il secondo posto al Pulitzer. Ma di ricordi, anche bellissimi, il fotografo del Da Vinci ne ha una valanga: «Sofia Loren con il braccio ingessato che ci salutava dalla scala dell’aereo, Elizabeth Taylor e Richard Burton che ormai erano di casa a Roma, Onassis che fece scendere tutti i passeggeri da un suo aereo Olimpic in modo da farlo raggiungere da Jacqueline Kennedy. Fiumicino era un pezzo di mondo che si poteva toccare con mano», ricorda ancora Vergati. Una Hollywood tra le nuvole, che sbarcava nella Capitale. Illuminando un aeroporto nato tra mille difficoltà ma che, come la Fenice, risorgeva dalle sue stesse ceneri.

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